La Val Grande: natura e trekking nell’area wilderness più estesa delle Alpi
Articolo e foto di Luigi Ranzani
Se dal lungolago di Stresa o dai giardini incantati dell’Isola Bella si volge lo sguardo verso nord si resta affascinati dal profilo continuo di montagne che sembra abbracciare dall’alto il catino di acqua del Lago Maggiore. Al di sotto di questa cintura di roccia un susseguirsi di valli e colline, intrecciate e sovrapposte tra loro, ricoperte da un folto mantello cangiante dal verde cupo, all’ocra, al rosso rubino, al giallo caldo dei toni autunnali.
Sono le montagne e le foreste della Val Grande, un territorio unico e affascinante, un tempo molto sfruttato e abitato dall’uomo e oggi tutelato da un Parco Nazionale che dal 1992 ne preserva e promuove l’unicità paesaggistica e la ricchezza naturalistica.
…un susseguirsi di valli e colline, intrecciate e sovrapposte tra loro, ricoperte da un folto mantello cangiante dal verde cupo, all’ocra, al rosso rubino, al giallo caldo dei toni autunnali.
Ci troviamo all’estremità nord orientale del Piemonte, tra Lago Maggiore, Ossola e Svizzera. A cento chilometri da Milano, a metà dell’arco alpino, si nasconde un labirinto fittissimo di montagne e fiumi, pascoli e foreste, forre e dirupi: 150 kmq di natura esuberante e intatta, un’isola montana grande come Malta, dove l’unico modo per visitarla è dimenticarsi dell’auto e calzare un buon paio di scarponi.
Punto di partenza privilegiato per iniziare un percorso di scoperta è Cicogna (770m) la “piccola capitale” di queste valli, minuscolo paese alle spalle di Verbania, con le case in sasso dai lunghi balconi in legno allineate in file parallele, aggrappate alla montagna e circondate da boschi di castagno. Cicogna si raggiunge risalendo una stradina asfaltata che corre alta sopra il torrente San Bernardino, il fiume più importante della valle.
Già solo questo piccolo trasferimento ha il sapore di un viaggio d’esplorazione perché, man mano che ci s’addentra lungo il solco della valle, il senso d’isolamento e straniamento si fa sempre più percepire. Passata una galleria siamo a Ponte Casletto: qui, quaranta metri sotto di noi, si celebrano le nozze tra il rio Val Grande e il rio Pogallo, in uno scenario suggestivo e vertiginoso, dove l’acqua spumeggiante si colora del verde smeraldo e rompe il silenzio primordiale della montagna.
Rio Pogallo dal Ponte Casletto Rio Val Grande dal Ponte Casletto
Subito dopo si sale svelti con rapidi tornanti e anche la vista sulla valle inizia ad allargarsi: siamo ormai prossimi al paese di Cicogna. Una ventina di abitanti, una chiesa, una trattoria, l’ostello, un agriturismo, b&b, il centro visita del Parco: non poco, considerando le difficoltà e la scomodità di vivere e lavorare lontano dalla città. Dopo un buon caffè corretto grappa – come da tradizione – è giunto il momento di mettere lo zaino in spalla e prendere il sentiero in direzione dell’Alpe Prà.
La bellissima mulattiera lastricata sale regolare dentro l’antico castagneto e ci permette di osservare i segni lasciati dall’antica civiltà contadina: numerosi e regolari terrazzamenti costruiti pietra su pietra per ricavare terreni pianeggianti dove coltivare segale, miglio, fagioli, patate. Anche se un po’ di fatica si fa sentire, passo dopo passo, raggiungiamo la magnifica radura dell’Alpe Prà.
Prà, nel dialetto locale, significa “prato”: un pascolo ottenuto sfruttando un terrazzo naturale della cresta che scende dalla Cima Sasso, dove l’erba veniva tagliata due volte all’anno e conservata nei fienili come alimento invernale per capre e vacche. Alla sommità del pascolo un piccolo e accogliente rifugio è il posto ideale per godersi una rilassante sosta. Dal suo parterre il panorama è ampio e sorprendente.
Alla nostra destra, oltre lo sprofondarsi buio della valle, una lunga cresta dentellata, aspra e fitta di boschi impenetrabili, segna il confine occidentale del Parco. Più oltre chiude l’orizzonte il massiccio del Monte Rosa, sovrastante e immenso, con cime di ghiaccio e neve oltre i 4000 metri.
Verso sud ci colpisce la luce trasparente e sottile che proviene dai riflessi del Lago Maggiore. Possiamo giocare a riconoscere il nome delle isole del Golfo Borromeo come quello dei paesi della sponda. Alla nostra destra, oltre lo sprofondarsi buio della valle, una lunga cresta dentellata, aspra e fitta di boschi impenetrabili, segna il confine occidentale del Parco. Più oltre chiude l’orizzonte il massiccio del Monte Rosa, sovrastante e immenso, con cime di ghiaccio e neve oltre i 4000 metri.
All’ombra di un frassino secolare ci si può abbandonare al profumo della polenta cotta sulla stufa a legna, condita sia con le carni rosse stufate a lungo con le verdure, oppure accompagnata da formaggi di vacca a pasta semidura (nostrano) o molle (gorgonzola). Aspettiamo, prima di tornare verso Cicogna, che le luci radenti e l’atmosfera più raccolta del tardo pomeriggio creino l’atmosfera adatta per visitare l’enigmatico “masso coppellato”:
una lastra di pietra dalla superficie piana, naturalmente adagiata sul ciglio inferiore del pascolo, in posizione dominante sulla valle: la faccia superiore del masso è incisa da una serie di coppelle – delle piccole vaschette di pochi centimetri di diametro – collegate tra loro da canaletti: si tratta di un simbolismo religioso che proviene dalle profondità della storia, probabilmente eseguite durante l’età del Ferro (II-I millennio a.C.) (qui per approfondimenti).
Ancora toccati dal mistero dei nostri antenati sprofondiamo nella quiete fresca del bosco per raggiungere Cicogna dove non è una cattiva idea accomodarsi sotto un pergolato di vite profumata, godendosi la sera mentre degustiamo le specialità (formaggi e salumi di capra) di Rolando, patron dell’Agriturismo Corte Merina.